
Il tragico epilogo della vita di un lavoratore affetto da malattia professionale, culminato nel suicidio, apre una riflessione profonda sui principi della responsabilità civile e sulle tutele giuridiche spettanti ai familiari della vittima. Questo tema non si limita alle considerazioni tecniche, ma investe valori fondamentali come la dignità del lavoratore, la tutela della salute e il diritto al risarcimento in caso di violazione di tali diritti..
Il Caso: Malattia Professionale e Tragico Epilogo
Il caso in esame riguarda un lavoratore dell’Italsider di Bagnoli, al quale, nel maggio 2018, era stato diagnosticato un “adenocarcinoma polmonare”, patologia derivante dall’esposizione all’amianto ed agenti nocivi presenti nel contesto lavorativo. Dopo la diagnosi, il lavoratore affrontò un lungo e doloroso percorso di cura, caratterizzato da interventi chirurgici complessi e terapie debilitanti.
Le sofferenze fisiche e la consapevolezza della prognosi terminale generarono uno stato di profondo disagio psichico, determinando nel lavoratore la perdita di ogni prospettiva futura e il progressivo isolamento sociale. Il gesto estremo, compiuto nel maggio 2022, non può essere considerato come un evento autonomo, ma deve essere interpretato come l’esito finale di una concatenazione causale originata dall’illecito del datore di lavoro, che non aveva rispettato le norme di sicurezza volte a tutelare la salute dei dipendenti.
La Responsabilità del Datore di Lavoro: Violazioni delle Norme di Sicurezza e Nesso di Causalità
Lo studio legale dell’Avv. Alfonso Menichini, sulla base della documentazione raccolta, ha dimostrato che il lavoratore trascorreva la maggior parte del tempo a letto, avendo pienamente maturato la consapevolezza dell’esito infausto della propria malattia. Tale condizione, secondo lo studio, trovava la causa primaria nelle condizioni lavorative del deceduto, considerato che l’insorgenza della patologia tumorale è strettamente connessa all’esposizione professionale all’amianto, e quindi alla violazione delle normative sulla sicurezza da parte della datrice di lavoro. Le condizioni di rischio e la mancata tutela della salute del dipendente, adeguatamente documentate, costituiscono l’illecito che pone le basi per il nesso causale tra il suicidio e le omissioni di tutela del datore di lavoro per violazione dell’art. 2087 c.c.
In virtù di ciò, gli eredi legittimi, rappresentati dallo scrivente studio legale, hanno avviato un’azione risarcitoria nei confronti della datrice di lavoro, avanzando una richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali iure proprio per la perdita del rapporto parentele. Si sosteneva che la malattia correlata all’esposizione all’amianto aveva infatti privato il lavoratore della sua stessa dignità, facendolo precipitare in una condizione di sofferenza e consapevolezza della propria prognosi infausta, privandolo di ogni progetto di vita. Questo stato di disperazione è stato considerato determinante nella maturazione dell’estremo gesto.
Su tali presupposti, si perorava la sussistenza della causalità, ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p., tra la condotta del terzo e l’aziona suicidaria.
Ed invero, la Suprema Cassazione, ha chiarito che il suicidio non costituisce una causa interruttiva del nesso causale quando è dimostrabile che esso sia stato determinato da processi patologici, quali psicosi depressive o gravi stati di alterazione dell’umore, riconducibili al comportamento del datore di lavoro. (Cass. n. 2037/2000).
Recentemente, gli ermellini, con Sentenza n°5737/2023, nel richiamare due precedenti (Cass. 15991/2011; Cass. 30521/2019) in materia di concorrenza causale, confermano la propria giurisprudenza in materia di nesso causale ed esclude la configurabilità della concorrenza di cause naturali con le cause umane nella determinazione della causazione materiale (Cass. Ord. 27524/2017; Cass. Ord. 30922/2017).
Pertanto, l’antecedente causale di origine lavorativa (neoplasia in fase metastatica e terminale), da solo – od assieme ad altri elementi facenti parte del vissuto del soggetto – agirebbe determinando l’impulso a mettere in atto un’ideazione comunque presente nel soggetto affetto da malattia neoplastica, in accordo con gli studi di alcuni degli Autori citati.
Per conseguenza, il gesto finale rappresenterebbe il frutto di uno stato emotivo o psichico fortemente condizionato dalla completa nozione della propria malattia.
In altre parole, il suicidio diventa l’effetto finale di una catena di eventi imputabile alla condotta negligente del datore di lavoro.
Conclusione
Questo caso rappresenta un esempio paradigmatico di come la responsabilità civile non si limiti alla riparazione di un danno diretto, ma si estende anche agli esiti più estremi delle violazioni normative. La tutela del lavoratore non si esaurisce nella prevenzione dei rischi, ma comprende la garanzia di condizioni di lavoro dignitose e rispettose dei diritti fondamentali.
La tragedia del suicidio legato a una malattia professionale non può essere relegata a una dimensione esclusivamente individuale, ma va interpretata come il fallimento di un sistema di protezione che deve vedere il datore di lavoro come primo garante della salute e della sicurezza dei propri dipendenti.
Il riconoscimento dei diritti dei familiari, infine, rappresenta un importante strumento di giustizia: non solo per risarcire il danno subito, ma anche per affermare il principio secondo cui la dignità e la salute del lavoratore devono prevalere su ogni altro interesse economico. Il diritto civile e la responsabilità sociale delle imprese sono pilastri fondamentali per garantire un equilibrio tra lo sviluppo economico e il rispetto della persona, ricordando che ogni omissione o negligenza può avere conseguenze tragiche e irreparabili.